In miniera

Nel 1956, dopo la catastrofe del Bois du Cazier, era vietato scendere in miniera come turista a causa dei tragici avvenimenti di Marcinelle. Hector Flamme trovò una soluzione. Un giorno mi chiese:"Vuoi scendere?". "Certamente" gli risposi. "Allora ti assumo come cronometrista". Il cronometrista deve registrare i tempi di lavoro non per controllare quello che fanno gli operai ma per giungere a una giusta ripartizione dei compiti e ottenere così una perfetta sincronizzazione tra l'arrivo del materiale di supporto e l'evacuazione del carbone. Se c'è un blocco da qualche parte, tutta la catena di produzione è allora costretta a fermarsi e questo costa milioni all'impresa. E' stato un lavoro molto interessante che mi ha permesso di vedere tutti i tipi di lavoro in miniera.
Nelle miniere a quell'epoca tra il 70 e l'80% dei minatori erano italiani.  Il resto erano polacchi, greci, turchi e qualche belga fiammingo e vallone. Nella mia vita non ho mai più incontrato, dopo il mio periodo in miniera, una tale solidarietà umana. Niente xenofobia né razzismo… in fondo alla miniera siamo tutti neri! Che meravigliosa lezione di fraternità!!! Molti italiani diventarono presto operai qualificati giungendo a posti di grande responsabilità come capo squadra - "porion" o "chef porion" - e addirittura responsabile dei lavori. Ritornando a Flamme, era un veterano della prevenzione. Cercava in ogni modo di illustrare, per mezzo di disegni, i temi relativi alla prevenzione degli infortuni sul lavoro per mettere in guardia i minatori contro i pericoli che li minacciavano. Io avevo fatto parecchi schizzi tra un cronometraggio e l'altro e guardandoli un giorno Flamme mi disse:"Ma allora i disegni della prevenzione falli tu!". Così ebbe inizio la mia carriera di artista incaricato di fare prevenzione attraverso le immagini. 

I manifesti di prevenzione in miniera….

Per le miniere dello Hainault, che comprendevano quelle di Tertre, Hautrage e Quaregnon, ho così creato circa 150 manifesti che, per mancanza di mezzi, non poterono essere stampati. Erano esposti nella sala paghe delle miniere dove ogni settimana i minatori facevano la fila attendendo il loro turno per ritirare i salari.  Avevano così l'occasione di discutere dinanzi al tema rappresentato. Riconoscendo i loro luoghi di lavoro si sentivano direttamente coinvolti. Un giorno su un manifesto che rappresentava due mani  con all'interno la scritta: "La sicurezza è nelle vostre mani", qualcuno di loro aggiunse a penna:"Nelle vostre e nelle nostre mani", intendendo così coinvolgere anche la responsabilità dei padroni.  Bisogna dire che le condizioni di lavoro erano durissime. Oltre allo sforzo fisico, cioè al fatto di dover lavorare spesso distesi in modo estremamente scomodo in vene carbonifere molto anguste (di circa 80 centimetri, più raramente di un metro)  imbracciando una pesante perforatrice, si viveva in un rumore infernale in mezzo alla polvere e all'aria nauseabonda che rendevano il lavoro penosissimo a temperature di oltre 40 gradi. Ognuno era dotato di una maschera per difendersi dalla polvere, ma dopo un'ora di lavoro era necessario poter respirare e allora ci si toglieva la maschera. Nei polmoni entrava così a fiotti la polvere di carbone. Io stesso, senza aver mai fatto gli sforzi che facevano gli altri minatori, ho continuato sputar carbone ancora per 10 anni dopo aver smesso di lavorare in miniera. E ci avevo lavorato appena due anni! Ma l'aver visto lavorare quegli uomini sudati , seminudi e neri di polvere deve aver senza dubbio influenzato la mia passione per l'anatomia. Vedo ancora quei muscoli tesi nello sforzo muoversi in chiaroscuri alla Rembrandt. Da quel punto di vista la miniera era grandiosa!

…. e in altri settori industriali

Si avvertiva nell'aria che la chiusura delle miniere era imminente. Io decisi di mettere le mie capacità grafiche al servizio di enti sociali più che di quelli commerciali e mi rivolsi allora a due enti che avrebbero potuto interessarsi alla pubblicazione di manifesti di prevenzione: l'Associazione delle Industrie Belghe (Association des Industries Belges, AIB) e l'Associazione Nazionale per la Prevenzione degli Infortuni sul lavoro (Association Nationale pour la Prévention des Accidents au Travail, ANPAT) di Bruxelles. Il mio primo tentativo fu fatto presso l'ANPAT. Il direttore generale dell'epoca, Louis Cloquet, mi assunse per  sei mesi soltanto, dato che aveva lavoro solo per quel periodo. Ma ci sono rimasto 25 anni.  Ho creato il servizio "Creazioni grafiche" e dopo qualche anno sono diventato direttore artistico dell'ANPAT. In tale veste ho collaborato con l'Unione Economica del Benelux, con il Comitato d'Azione per l'Edilizia (CNAC) e con l'Istituto Nazionale di Ricerca e Sicurezza (Institut National de Recherce et de Securité, INRS) di Parigi.
Ho creato manifesti appositi per varie compagnie: dalla metallurgia alla chimica, dal tessile all'edilizia, al settore ospedaliero. Non è mai stato facile far accettare, a chi era incaricato di decidere, la mia libertà creativa. Gli industiali, i sindacati, i medici del lavoro e soprattutto i dogmatici della psicologia volevano sempre metterci del loro. Il continuo contrasto tra la positività e la negatività dei temi e l'umorismo rappresentavano gli ostacoli maggiori. Il manifesto non ha uno scopo decorativo ma deve dare un messaggio efficace anche se è scioccante e forse proprio perché è scioccante. Inoltre l'umorismo non è appannaggio di una certa classe sociale e di un certo livello intellettuale ma è la conseguenza di una intelligenza e apertura di spirito e di una sensibilità personale. Io mi sono sempre rifiutato di servire ai lavoratori una minestra ribollita e insipida volendo invece destinar loro immagini forti e plasticamente valide. Il lavoratore ne ha diritto e, in aggiunta, quest è il modo migliore per sensibilizzarlo e inculcargli la voglia di partecipare agli sforzi per garantire la sicurezza al lavoro.