|
La sua storia
Ben prima della firma del protocollo italo-belga del 23 giugno 1946 che dette l' avvio all'immigrazione di 50.000 minatori italiani in Belgio (in effetti i minatori italiani emigrati in Belgio furono molti di più), i miei genitori emigrarono in Belgio negli anni 1930 per sfuggire al fascismo. Andarono ad abitare prima a Hautrage, poi a St. Ghislain, poi a Tertre e infine in una baracca a Villerot, un piccolo villaggio nei pressi di Tertre dove stava per essere aperta una nuova miniera. Mio padre era stato assunto lì e lavorava allo scavo dei pozzi. Il lavoro si svolgeva per lo più nell'acqua, immersi fino alla cintola, e le giornate erano molto lunghe. La sera, distrutto dalla fatica, percorreva a piedi 10 chilometri per rientrare a Villerot, sporco e bagnato, ancora con indosso i panni del lavoro. Non c'erano docce nella miniera. Doveva sempre andare a piedi, con ogni tempo. Pensate a quest'uomo che veniva da un paese caldo e doveva subire questo tipo di trattamento.
La malattia
La polmonite non si fece attendere. A quell'epoca non c'erano antibiotici e la malattia si trasformò a poco a poco in tubercolosi. Non potendo più lavorare, mio padre fu costretto a letto e dato che non esisteva nessun tipo di assistenza sociale a quel tempo, mia madre decise di andare a lavorare, nonostante avesse da badare a quattro bambini. Fu assunta nella miniera di mio padre e lavorava la notte, sia alla lampisteria sia alla lavanderia, per lavare gli abiti di lavoro degli ingegneri. Di giorno si occupava dei bambini e della casa, dato che mio padre non era in grado di farlo. Vivendo nella miseria e in preda alla malnutrizione, due figli le morirono nell'arco di meno di due mesi, Lydia (6 mesi) e Calisto (3 anni) di cui io porto il nome. Io nacqui nel 1937. Subito dopo il parto, a causa della sua estrema debolezza, mia madre ebbe una forte emorragia che le causò una grave depressione nervosa. A quell'epoca non si faceva distinzione tra depressione nervosa e pazzia e i medici volevano farla ricoverare nel manicomio di Tournai. Mio padre si rifiutò categoricamente e, per evitare che i figli venissero inviati all'orfanatrofio, decise di riprendere il lavoro in miniera. La direzione della miniera gli fece firmare una dichiarazione a discarico prima di riprenderlo a lavorare lì. Morì sei mesi dopo la mia nascita, all'età di 31 anni. Il sacrificio di mio padre mi è rimasto sempre impresso nel cuore e con il passar degli anni mi sono reso conto di quale deve essere stata la sua tortura fisica a lavorare al fondo della miniera, tubercolotico e affaticato com'era. Ma ancor piu' atroce deve essere stata la sua tortura morale nel rendersi conto che stava per morire senza sapere cosa sarebbe stato di noi. Quanto avrei voluto conoscerlo! In seguito, vivendo in una baracca umida e fredda, io inevitabilmente contrassi una broncopolmonite. A volte, come in un flash-back, ho un ricordo febbricitante e doloroso di una canzone che mamma mi cantava, con un singhiozzo in gola:"Nanna, dodo, nanna dodo, questa sera vien papà". Per i medici io ero condannato. Una coppia di immigrati cechi compassionevoli aiutava mia madre come poteva. Quella brava gente erano seguaci del Culto Antonista considerato ingiustamente come una setta. Ma non aveva nulla di settario poichè rispettava tutte le filosofie e le religioni. Mamma, malgrado la sua educazione cristiana, era disperata e accettò il loro aiuto. Molto tempo fa mi ricordo che un giorno mi raccontò di avermi guarito, seguendo i consigli di questa coppia, spalmandomi completamente con una mistura di erbe e di oli (probabilmente essenziali). Checché se ne voglia dire, io devo la vita a queste persone che ho sempre rispettato. Mamma gli è rimasta fedele fino alla fine. Noi continuavamo a vivere nelle difficoltà, mia mamma doveva allevare tre figli senza mezzi. Allora sempre questa coppia ceca ci mise in contatto con una famiglia belga senza figli loro conoscenti, i signori Masson, che molto caritatevolmente mi accolsero, curarono, nutrirono, circondandomi di affetto per quasi tre anni. Sono diventati i miei padrini Emile e Georgina. Oggi non ci sono più ma penso a loro con una profonda gratitudine, emozione e tenerezza. Per tutta la mia vita comunque ha continuato ad avvertire la mancanza di mio padre, questo grande vuoto. Invece mia madre è riuscita a farcela. Da tutte le prove affrontate ha tratto una grande saggezza e una forza morale straordinaria. La sua filosofia e le sue lezioni di vita sono state per me, come per molte altre persone che l'hanno conosciuta, un importante punto di riferimento e un appoggio morale. Mia mamma è morta nel 1974.
L'amore per il disegno
Ho cominciato a disegnare sin dall'infanzia e ho sempre disegnato senza pensare che un giorno ne avrei fatto il mio mestiere. Achille Wautié, il mio maestro alle elementari di Villerot, mi aveva sempre incoraggiato a proseguire. Un italiano che avevo conosciuto all'Ateneo di Ghislain e che studiava alla Scuola di Belle Arti di Mons mi incoraggiò ad iscrivermi all'Accademia. Io non avevo molte pretese. Il mio sogno di pilotare gli aerei era oramai soltanto una visione poetica. Pensavo di dedicarmi al legno e al marmo nel settore della pittura per l'industria delle costruzioni. Quando visitai l'atelier di pittura della Scuola ne rimasi però affascinato, ma di fronte alle spese che una tale scelta avrebbe imposto a mia madre a causa del costo elevato dei materiali necessari per la pittura, decisi di seguire il corso di pubblicità. Grazie ai miei progressi nel disegno e sostenendo una serie di esami nel corso dell'anno, riuscii a completare il ciclo di sei anni in soli tre anni (all'epoca era possibile). Dopo il mio periodo alle Belle Arti e in attesa di fare il servizio militare (avevo optato per la cittadinanza belga) volevo vedere la miniera in cui aveva lavorato mio padre. Era per me una questione sentimentale. Conoscevo Hector Flamme, responsabile del Servizio di Sicurezza della miniera di Tertre. Egli si interessava a quello che facevo e, siccome morivo dalla voglia di dipingere, avevo cominciato a fare dei quadretti. Flamme mi incoraggiò e comprò la mia prima natura morta che rappresentava un fiasco di vino e un salame.
|
|